domenica 22 aprile 2012

La diga del PANTANO D'AVIO (1955-1956): prime esperienze di lavoro

La baracca degli operai

In seguito all’esito del corso per neodiplomati della Edison, il 06/06/’55 fui assunto dalla Ditta SALCI, una consociata del gruppo che si occupava di impianti idrici, in particolare di costruzioni di dighe, per ricavare energia elettrica sfruttando il salto delle acque, dai ghiacciai verso la pianura. La mia destinazione era “Il Pantano d’Avio”.
Finiti gli otto mesi del corso avevamo imparato tutto, o quasi, della Edison.
Ad Edolo avevo sentito dell’ultima diga in costruzione, sotto il tetto dell’Adamello, al Pantano, a monte della Val d’Avio, già completa di dighe e relative centrali che confluivano nell’alta Val Canonica.  Era là che cominciava la mia esperienza di lavoro vero.
Ad Edolo, gli abitanti, rudi montanari avvezzi ad ogni difficoltà, di cui conservo buon ricordo, specie di alcuni che avrei trovato lassù, De Marini, Bertolo ed altri, si dicevano del Pantano condizioni di vita molto difficili, ma non quanto avrei immaginato.

Per arrivare alla centrale del Pantano d'Avio da Modena, occorrevano 16 ore, dalle 4 alle 20.
Da Edolo fino a Temù in camion, poi a piedi fino al fondo valle teleferica, a Fucine, poi su da 1200 circa a 2450, poi ancora a piedi, fino alle baracche, sotto la diga. In alto a sinistra, la “Frantumazione” del granito, proveniente dalla Cava Plem.

La buona accoglienza al cantiere, tipica dei bresciani in generale, mi aveva un po’ risollevato il morale dalla pessima impressione avuta dai racconti della gente, giù in paese.

Pioveva. La realtà del cantiere mi fu subito chiara. Il mangiare, lo stato delle baracche, l’aspetto degli operai, la TV, mesi interi di permanenza in cantiere, 10 – 12 ore di lavoro al giorno, stato generale depressivo. Nessun incarico specifico del lavoro da svolgere.

Il Capo Cantiere Ing. Leonardi e l’Ing. Zambelli, gestivano l’”avanzamento lavori” assistiti da un gruppo di geometri, di cui non conoscevo bene le mansioni, i quali mi fecero un nerissimo quadro.

Andai alla cava Plem con il geom. Volonté. I minatori facevano brillare le cariche provocando grosse frane, dalle quali i bulldozer riempivono i carrelli attaccati alla teleferica che trasportava diagonalmente il materiale alla frantumazione: quasi 2 chilometri.

Mi mettono in torre: mi chiamano il capo dei mugnai. Fuori nevischio e pioggia, ma il getto in diga deve andare di continuo, giorno e notte. E’ corto il periodo di getto, che non può scendere sotto i –6°C, cioè da circa metà Maggio ai primi di Ottobre. Comincio a fare relazioni per il Geom. Lorenzin (vice-capo cantiere) e per Magnani e Ferraris.

I colleghi prendono lo stipendio:33.000 £. Lugaresi, il romagnolo è a casa. Voglia di posta dalla fidanzata. Pellegrini non vorrebbe che facessi un disegno per un trasportatore. L’ing. Penta, De Marini e Bertacchi impegnati per i molti guasti alle attrezzature. Mateucci mi illustra i dati dell’Impianto e rifaccio disegni per una “capra” caduta (sabotaggio ?).

La frantumazione
La Frantumazione è un alto edificio che riceve dall’alto i carrelli pieni di granito proveniente dalla cava e per caduta, su due linee parallele, attraverso grossi frantoi a cono eccentrico lo frantumano e cade nei sottostanti vibrovagli a più stadi per ripartire le diverse pezzature ai sili aventi “granulometrie” precise, da 100 mm fino al superfino, la polvere.

Alla base dei sili il materiale è prelevato, sotto pesatura e, secondo precise quantità per ciascun tipo, inviato alle impastatrici, che insieme al cemento, proveniente dai sili di arrivo da altre teleferiche, formano il prodotto di gettata, il quale, in appositi recipienti, è inviato in diga e trasferito sui 2 “Blondin” una specie di Ufo circolare, mosse da robuste teleferiche ancorate alle estremità della diga, per la distribuzione della colata su tutte le aree di gettata.


Il Blondin

Per citare delle dimensioni, dirò che in Luglio '56 si raggiunsero i 1000 metri cubi di gettata al giorno (200.000 mc per tutta la diga). Poiché il granito frantumato non produceva sufficiente prodotto fine, un apposito Mulino a barre integrava il necessario, prelevato a parte. Le barre erano costituite da diverse decine di cilindri di ferro temperato del diametro di circa 10 cm, lunghe circa sei mt e che per l’abrasività del prodotto, a fine stagione, rimanevano pochi resti affusolati, lunghi 4 – 5 mt di diametro a metà di 4 – 5 cm e zero alle estremità.
L’ambiente era polverosissimo. Occorreva la maschera, che tanti non mettevano, malgrado le raccomandazioni e la minaccia di sanzioni e la silicosi fece una strage di persone pagando con gran numero di anni di vita, questa trasgressione e di ventilatori e di  altri mezzi di protezione, intervalli di presenza, nemmeno l’ombra.

L'impianto di frantumazione ed il rischio di silicosi

D’altronde tutto l’insieme era devastante. Turni di 12 ore, senza lavarsi, gente che si addormentava in piedi, appoggiata alle canale inclinate del materiale che scendeva con un rumore infernale, con la barba di mesi, impastata della polvere del granito, di aspetto orribile, per un piatto di minestra che forse mai prima avevano mangiato, per tornare, a fine gettata al pascolo montano, a soffrire e morire per la cristallizzazione della superficie polmonare, ma allora, quella era la normalità.
Io cercavo di difendermi alla meglio, con la maschera, sostando il più possibile in Sala Controllo, dando ordini col telefono (a manovella), facendo rapidi giri di controllo e poi uscendo dai punti più polverosi; ciononostante, per molto tempo dopo ho temuto che in seguito avrei dovuto fare i conti con questo trascorso che per fortuna così non è stato.

Nell’estate il personale in cantiere arrivò a mille unità. A fine Ottobre, a fine gettata, fummo trattenuti su in 12, per la manutenzione. Con tale prospettiva, dall’impatto in quei pochi mesi, io, che non sono un piagnucoloso, né mi spavento di fronte agli eventi della vita, a 24 anni il 21/11/’55, dalla disperazione, ho pianto. Quell’inverno fu durissimo.

Anche in pianura. Il termografo, per più di un mese segnò una riga continua a fondo scala, a –20°C. La neve copriva quasi completamente le baracche, la teleferica si bloccò e per molti giorni rimanemmo senza rifornimenti, la salita alla torre era un’impresa difficile; nonostante ciò non imparai mai a sciare. La montagna, in inverno non era fatta per me. Dal tetto dell’Adamello sporgeva una lastra di 16 metri di ghiaccio.
Con il capo Sala controllo Capi, un reggiano piuttosto ribelle, avevo fatto grande amicizia. Fu lui ad introdurmi nell’elettrotecnica e, poiché gli avevano pagato un corso di radio (Radio Elettra), per farlo star buono, lui che era stato radiato dalla scuola per aver preso a botte il Preside, mi riavvicinò anche alla radiotecnica, di cui in seguito avrei fatto i corsi di radio, modulazione di frequenza, transistors ed infine di televisione.
Per me comunque si prospettava l’assoluta necessità di uscire da quella situazione. Ripresi la ricerca di un posto di lavoro. Prima direttamente, poi, siccome da alcuni esami non mi arrivò mai la risposta, tramite il mio carissimo amico Guido Panini, amico fin dall’infanzia, in campagna, che mi invogliò a studiare e che mi aiutò moltissimo da Milano, fino all’esame alla Necchi di Pavia, dove fui assunto il 30/07/’56.

Il 27/07/’56, quando ho lasciato il Pantano, la diga era quasi finita. Dopo poco sarebbe iniziato l’invaso: 12,5 milioni di metri cubi d’acqua. Sono tornato lassù, con la famiglia, dalle ferie in Val Pusteria, il 15/09/’83. Il ghiacciaio non c’era più, per il cambiamento climatico.
Il bacino era pressoché vuoto. La diga controllata da un guardiano, ma il luogo era tornato desolatamente deserto. Al momento pensai  al tanto lavoro, tante sofferenze, morti, miliardi di spese messi a rischio di parziale inutilità…. dal buco nell’ozono.

Oggi ci sono nuove centrali e nuovi progetti nella zona, per la forte necessità di trovare ed ampliare fonti di energia alternativa al petrolio, da cui dipendiamo.


La vista della diga in costruzione dall'edificio della frantumazione

10 commenti:

  1. Ancora una volta, Tonino, ci lasci una grande testimonianza.
    E tante riflessioni sul lavoro, la fatica, lo sfruttamento.
    Grazie per tutto questo.
    Un caro saluto,
    Lara

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  2. Rimango piena di stupore per le grandi opere fatte dagli Italiani sconosciuti. Avranno avuto riconoscimento a suo tempo forse, ma avrebbero dovuto dare più risalto e magari parlarne nelle scuole. Queste fatti inducono all'ammirazione per la durezza della prova. Quanta esperienza, caro Tonino!

    Ciao Nou

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  3. sono il figlio di marini giorgio ,nato in australia da genitori camuni di sonico;mio papà nello stesso periodo 1953-1960 circa ha lavorato alla costruzione della diga del pantano alle dipendenze della Salci,è morto nel 1987 di silicosi all età di 78 anni.grazie per la sua testimonianza sui metodi di lavoro di qugli anni
    gianni marini

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    1. Al ritorno dalle ferie, caro Marini (Gianni), mi sono accorto che nella mia risposta mancava il finale, forse avevo scritto troppo, comunque volevo solo dirti che se vuoi fotografie, ma purtroppo non della cucina, te le posso inviare. Tanti cari saluti Tonino

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  4. Buon giorno mio nonno Bera Giovanni è morto cadendodalla diga nell agosto del 55 vorrei se possibile avere foto o notizie grazie Beragianni@libero.it

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  5. Salve, sono Tosatti Tonino. il 20 di Agosto del 55 ero su al Pantano d'Avio. Io ero alla frantumazione del granito. Ho saputo il giorno dopo della morte di uno in diga, all'elemento 7. Le notizie come quella non erano tanto diffuse. Quel giorno io compivo 24 anni, ma quella settimana è stata molto difficile anche per me. Che dire. Appena ho potuto sono venuto via anch'io. Non ho altro da aggiungere, se non che la vita lassù era molto dura per tutti. Le mie condoglianze tardive, non cambiano nulla, per chi lassù ci ha lasciato la pelle. Vi saluto caramente e mi ritorna il cuore in gola, per quei tristi ricordi.

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  6. Buongiorno, mi chiamo Gabriele Marzorati, anche mio padre ha lavorato per quella diga, mi rimangono solo due foto della diga in lavorazione. Si chiamava Egidio, non me ne aveva mai parlato, è morto molti anni fa, vorrei andarci con mia moglie e mia figlia, e salute permettendo portarci anche mia mamma, ma non so chi contattare per andarci. Qualche anno fa sono arrivato alla diga più in basso, poi bisognava camminare ancora e con l'età e la salute di mia madre dovrei salire con la cabinovia. Se sa come contattare la proprietà mi può mandare info a gabrielemarzorati@live.it grazie mille

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  7. Buon dì, sono Tosatti. Leggo con piacere il tuo Commento con il riferimento alla possibilità di poter andare su alla Diga del Pantano d’Avio dove aveva lavorato tuo padre. Uso il TU sia per l’età (85) che per sentirci uniti in questa vicenda. Per quanto richiesto: contatta il Sig. Alberto Passeri dell’ENEL di Edolo che è tutt’ora Guardiano su in Diga e che probabilmente potrebbe aver avuto altri casi analoghi. Nel mio Blog ci sono diversi Post che toccano gli argomenti della Diga. Girando fra questi ai commenti, gli argomenti, i particolari, le fotografie, le risposte, le tante persone ancora interessate potranno farsi un quadro più preciso della vita degli UOMINI, dei pionieri di allora, anche se a volte…. Piangendo.
    Se ci saranno sviluppi che io mi auguro, gradirei saperlo. Auguri, Saluti Tonino.

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  9. Ciao, Nu, Bentornata. Spero che non sia stato per motivi di salute, perchè anche per me è stato un anno infernale. Ora mi pare che cominci un nuvo anno un pò più tranquillo. Per ora mi acconterei della situazione attuale, se dura. Il nostro scambio di notizie sarà essenziale. Per ora tanti, tanti Auguri- Tonino

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