mercoledì 13 febbraio 2013

Nonantola, in tempo di guerra: il rastrellamento


3 Luglio 1943 !

Non dimenticherò mai più quella data, anche se i miei ricordi sono ora annebbiati dal tempo trascorso e dal fatto che mai nulla avevo scritto di ciò, da allora in poi. 

Io avevo allora quasi 12 anni. Era tempo di guerra. La scuola elementare per me era finita. Nelle stradine di campagna, in molti crocicchi c’era un cartello con su scritto: “Achtung banditen !”. 

La zona era “infestata” dai partigiani. Chi fossero i banditi io lascio alla storia il giudicare. 

Ci si muoveva poco in quei tempi e ad arrivare a Modena, a 12 km da dove abitavamo, vicino al fiume Panaro al Campazzo, era già un’impresa. Quella mattina, nell’aia, attendavamo la trebbiatrice per il grano. Verso le nove arrivò la tradotta e cominciarono subito i lavori di posizionamento dei macchinari e quindi la trebbiatura. Era un gran accorrere di gente, diciotto in tutto, più i miei familiari per le occorrenze del caso. 

Inaspettato, alle 10 scattò il “rastrellamento” tedesco. Tutto il personale fu radunato ed allineato presso il muro della stalla e davanti, a terra, i mitragliatori dei militari.

Iniziò la perquisizione, prima delle persone e dopo dei locali, delle stanze, e di tutto quanto poteva essere occasione di occultamento, di cose, di armi e di altre persone. Dopo un’ora di gran sconquasso di masserizie e di suppellettili, cassetti ribaltati e robe, vestiti, oggetti sparpagliati ovunque, i ricercatori tornarono con il “bottino”. 

Tre furono gli elementi assai sospetti ritrovati: 
  • un paio di grossi scarponi militari che mio padre aveva comprato a Modena al mercato nero, 
  • una cuffia che io avevo trovato al mercato delle pulci, 
  • la radio Galena, come quella della foto allegata, che mi avevano comperato a Modena in Via Farini (che ho ricomperato subito dopo la guerra). 
A questo punto debbo precisare alcune cose. Senza corrente elettrica e per avere le notizie c’erano solo qualche giornale, pressoché impossibili da reperire in campagna e la radio ricevibile solo dall’unica stazione di Bologna dell’EIAR della Repubblica sociale.
Su indicazioni di alcuni vicini avevo imparato che si poteva arrivare a sentire, anche se molto debolmente, tramite un primitivo diodo rivelatore, costituito da un cristallo di galena (solfuro di Piombo) collegato a terra da un lato e ad un’antenna dall’altro su cui si inseriva in serie una cuffia. Una bobina ed un condensatore servivano per sintonizzare l’apparecchio sulla frequenza della stazione. 

Ero riuscito a recuperare tutto il materiale, una scatola in bachelite, con la bobina, il condensatore, il detector e una cuffia, alcune boccole e spine oltre ad un paio di vecchi trasformatori. Da questi ultimi avevo ricavato il filo di rame per la “terra” che avevo steso, dalla mia camera al secondo piano e poi interrato nel cortile ed infilato nel pozzo dell’acqua. Sul comodino, vicino al letto avevo riposto l’apparecchio e con un altro spezzone di filo di rame ero arrivato fino vicino alla finestra rivolta verso il fiume, ad ovest. Da questa finestra si vedeva un grande pioppo, nei filari tra le viti a circa ottanta metri di distanza. Era il posto perfetto per stendere l’antenna. 

Avevo preparato un lungo e robusto filo di ferro con alle due estremità due colli di bottiglie rotti che facevano da isolante ed altri due spezzoni di filo dopo gli isolanti. Da una estremità lo avevo fissato al ramo più alto ed accessibile del pioppo ed dall’altra, tendendo il filo, dopo l’altro “isolante”, al muro della casa, dopo aver collegato strettamente il filo di rame al filo così isolato. 

Cercando il punto più sensibile della galena con il filo mobile (“baffo di gatto”) del detector alla fine ero riuscito a sentire qualcosa della trasmissione, che era anche molto disturbato da un noiosissimo “ticckete ticckete” introdotto per ostacolare le trasmissioni del nemico, delle truppe alleate ferme a sud, oltre la linea gotica. Tutto questo apparato, visto dall’esterno, quindi poteva essere scambiato per una rice-trasmittente contro i tedeschi. 

Ritorniamo al “rastrellamento”. Nel cortile, oltre ai macchinisti, c’erano i miei familiari, in primis mio padre per la parte contadina, l’affittuario del campo per la parte padronale e per la ripartizione a metà ciascuno del grano prodotto. 

I tedeschi chiesero chi fosse il padrone. Ne nacque una diatriba fra mio padre e l’affittuario un certo Ottavio Barbolini dove ciascuno diceva che il “padrone” era l’altro. 

Il capo della pattuglia tedesca li fece accompagnare vicino al muro della stalla e chiamò un milite che gli armò davanti il mitragliatore. Allora intervenne un militare italiano, facente parte del “Commando”, che spiegò ai tedeschi le cose che mio padre e l’affittuario si premurarono di precisare. 

Intanto un enorme boato squarciò l’atmosfera, acuendo la grave tensione: il grande pioppo che reggeva la mia antenna era stato abbattuto. Non seguì molto altro che io ricordi in particolare, i tedeschi distrussero tutti i filamenti e gli oggetti sospetti, ripresero le loro armi e se ne andarono. 

Il sudore di tutti i presenti non era certo dovuto al caldo estivo, la tensione si allentò e fortunatamente si pote’ riprendere la trebbiatura.


2 commenti:

  1. recensione davvero interessante..non dobbiamo mai dimenticare quei giorni

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    1. Chi ha vissuto quei momenti non li dimentica, chi non li ha vissuti non lasci che si ripetano, potrebbero nuocergli.

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