Il terreno su cui abitavamo dal 1937, era quasi
completamente ricoperto da una folta vegetazione in doppi filari di olmi e di
pioppi che sostenevano i tralci delle viti che purtroppo non davano grande
produzione per tutta una serie di ragioni che al giorno d’oggi sarebbero una
vera offesa al buonsenso, ma che allora neanche s’immaginava di capire.
Innanzitutto le piante che sostenevano le viti
succhiavano più del 70% del nutrimento
delle viti stesse, mentre sarebbero bastati pali di legno, di cemento o di ferro
per triplicare la produzione, poi nessun concime era disponibile e lo
stallatico liquido e solido non erano adatti per il sapore che infondevano nel
vino, poi l’arrampicatura delle viti sulle piante che danneggiava in parte il
raccolto perché per cogliere i grappoli occorreva strappare giù i tralci
rovinando tralci e grappoli, ed infine per sostenere i lunghi tralci occorreva
tutta una stesura in fili di ferro, attraverso i doppi filari, con costi e
fatiche incredibili.
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Lo schizzo che riporto a lato da appena un’idea
di come venivano complicate le cose semplici, attuali. I tipi di uve poi, di
cui non ricordo più i nomi che qui citerò, in parte in dialetto, quali il
lambrusco, l’ova Covra, il salamino, la brugnola, l’ova Maria, la
grasparossa, al maiol, ecc.
Inutile dire che anche la scelta dei tipi non si discostava mai da quelli tradizionali, anche perché non esistevano scambi di
informazioni, diffusioni di notizie e tutto procedeva sempre staticamente come prima.
Del resto la misera produzione serviva in parte per il proprio consumo,
che ogni mezzadro si produceva autonomamente, secondo le usanze di nonni e
bisnonni ed il resto si portava alla Cantina Sociale, con birocci carichi di
cassette.Per non parlare di come si produceva il vino. L’uva
vendemmiata si raccoglieva in panieri, coi quali si riempivano cassette che il
più delle volte ognuno si costruiva per conto proprio con assicelle di pioppo
ritagliate opportunamente e con la marchiatura delle iniziali.
Io stesso, durante la guerra e subito dopo ho
lavorato molto alla costruzione di queste cassette della misura di circa 70x45x45 cm, di cui ne
conservo ancora una (costruita però dopo da mio cugino Renzo), altri invece le
facevano di 80x48x16 cm, come quella che poi ho usato come mia libreria durante
gli studi e che ora fa da bacheca per i barattoli di accessori (chiodi, viti,
dadi, cuscinetti, ecc. del mio laboratorio).
Ma procediamo per la produzione del vino. Le
cassette d’uva venivano portate a casa ed accatastate nel cortile. A turno fra
i cinque contadini della proprietà l’unica mostatrice veniva usata per
schiacciare l’uva e tutto il contenuto, mosto e graspe, finivano in un tino
dove avveniva la fermentazione.
La spillatura di un po’ di liquido serviva per
assaggiare il grado di fermentazione e quando l’addetto, in questo caso mio
padre o mio zio, riteneva che bastasse, specie per il tipo di uva mostata,
veniva levato tutto il mosto liquido e messo in una botticella o un altro tino
più piccolo per la sedimentazione del solido.
La parte solida che restava nel tino, cioè le
graspe, i mostaccioli e il “fisso”, venivano stipati con legni ed assi e
“puntellati” con un palo al soffitto in modo che l’aggiunta di un po’ d’acqua
ricoprisse di liquido tutto il contenuto. Dopo qualche giorno di successiva
fermentazione, il secondo vino (chiamato in dialetto “al puntalon”),
serviva da bere così a breve scadenza come vino da pasto, in verità una
schifezza biasimata da tutti, ma quella era allora l’economia.
Spesso, prima di fare il secondo vino o invece dello
stesso, le graspe e tutto il solido, venivano pressate con un torchio
che faceva strizzare un altro po’ di vino, che veniva messo a decantare e messo
in damigiane o botti separate.
Tutto il vino in seguito veniva “tramutato”, di
botte in botte, fino a raggiungere un grado di limpidità idoneo per
l’imbottigliamento o il consumo diretto.
L’ultimo prodotto delle decantazioni (che mia madre
chiamava “il fisso dei fissi”, per dire l’ultima parte solida delle
decantazioni, si usava per fare la saba, mosto cotto fino ad alta
densità, che in campagna si usava per fare dolci, da mangiare così con la
polenta e si usava anche come ingrediente dolce per fare granite di neve.
Infine, le graspe seccate, con i mostaccioli (i
gramustein) si vendevano ad un tale per ricavarne dell’olio. L’odore acre del
tutto, nei cortili, era invece ben tollerato, perché indizio di buon bere per
tutto l’anno. Dell’igiene, della pulizia e dei controlli, è meglio non
parlarne, mentre sciami di moscerini, attorno ai tini e tutt'attorno, erano il comune corollario della cantina.
Tornando indietro invece ai vigneti, che allora non
si chiamavano così, rimangono da citare tre cose:
- la potatura,
- la protezione dell’uva
- la vendemmia.
Durante la vegetazione estiva della vite, questa
doveva essere difesa dall’Oidio e dalla Peronospora: queste operazioni si
facevano irrorando tutto il fogliame ed i grappoli, in cicli successivi, in
base all’andamento climatico, trattando con solfato di rame sciolto in acqua,
più calce anch’essa sciolta in acqua e zolfo dato a parte con appositi
soffiatori a mantice.
La vendemmia, che si faceva in genere dalla
seconda metà di Ottobre, era un avvenimento particolare. Di allegria e di
buonumore quando il tempo era sereno ed ancora soleggiato, ma piuttosto gramo
con la pioggia ed ancora peggio con la nebbia. Le lunghe scale da spostare, il
fango, i vestiti bagnati, il cielo lugubre, i grappoli che in ultimo sembravano
tanti topolini per la muffa, davano un senso di tristezza e di voglia di
finire.
Ma a S. Martino, la nebbia agli irti colli…ed anche
in pianura, va l’aspro odor dei vini l’anime a rallegrar.
Grazie per aver condiviso i tuoi ricordi :)
RispondiEliminaDi nulla, ho visitato il tuo blog e mi piace molto. Ciao Tonino
RispondiEliminaciao sono Luciano Panini, l'ultimo della famiglia nato a Campazzo, figlio di Beppe, mi ha fatto molto piacere condividere i tuoi ricordi, che in gran parte sono anche i miei, anche se sono un po' piu' giovane di te.
RispondiEliminaCiao, Luciano, Che piacere avere tue notizie. Stavo proprio pensando a qualcuno che ricordasse le nostre RADICI.
EliminaPenso che sarai contento di trovare un mio post tutto dedicato alla cara famiglia Panini, anzi fallo presente a Guido ed agli altri citati. Lo troverai nel nel post AMICI PER LA VITA, con tanti altri che ricordano i tempi passati ed è citato anche tuo padre. Sarò felice di averti fra i lettori fissi. Spero di sentirti presto.