Rimettendo ordine nel blog di mio papà mi sono accorta di questo post rimasto in bozza e che Tonino stava preparando alla fine del 2017.
Da un paio di anni Tonino non è più in grado di curare il suo blog per l'età avanzata, però a me spiace disperdere così le sue memorie che rappresentano uno spaccato di vita interessante da parte di chi ha vissuto a cavallo di diverse epoche così diverse e rivoluzionarie: dallo sviluppo dell'era industriale, alla seconda guerra mondiale, all'avvento dei computer prima e dell'era digitale poi, fino purtroppo ai giorni di oggi, in piena pandemia.
Così lo pubblicherò così com'è sebbene sono certa che Tonino avrebbe voluto rivederlo e sistemarlo . Alcune aggiunte che farò saranno riconoscibili perché utilizzero questo font e colore
Claudia
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Da casa mia al paese, Nonantola, (MO), dove sono nato nel '31, ci sono poco più di quattro km. Al tempo della mia infanzia negli anni '31-'50, il percorso si faceva a piedi, i grandi in bicicletta. La stradina era una misera cosa più terra che sassi, che “lo stradino” del comune si affannava a colmare con un po’ di ghiaia e qualche ciuffo d’erba presi dai lati e facendo tante piccole canalette laterali col badile per drenare le buche, insomma, in caso di pioggia era un vero paradiso.. per le anatre ed in estate, quando passava qualche rarissima auto, il polverone sollevato nascondeva ed imbiancava tutto.
Ma a questo nessuno faceva caso.
Colline,
montagne?. Mai viste.
Il mare ? Visto solo al cinema, come un'enorme buca d'acqua, molto ma molto più grande del fiume Panaro, che costeggiava il nostro podere.
Luce elettrica? Macchè, solo qualche timido paletto ai bordi
delle strade, ma i fili andavano solo da un borgo all’altro e a casa mia non
erano mai voltati. Occorreva attendere il 1954, giusto l'anno in cui ci siamo trasferiti a Modena.
Acqua potabile?.
In tutte le case c’era un pozzo, profondo a volte anche dieci metri.
Quello di casa mia non era buona da bere e per fortuna che quella di Panini, la casa più vicina alla mia, distante circa 160 metri era buona e tanti, noi compresi, ce ne servivamo. Andavamo a prenderla con bottiglie, secchi e d’estate anche con secchi e botti.
E tutto ciò era normale.
I Tosatti del Campazzo di Nonantola, in questa foto ci sono le due sorelle Bruna e Verina Accorsi che si sposarono con i due fratelli Valentino e Marino Tosatti. Quindi i loro figli Tonino, Alfa ed Erio, da una parte e Renzo, Gigliola, Nives* e Loredano* (*che nella foto non compaiono perché non erano ancora nati) sono più che cugini molto stretti !!
Nella foto compare anche un altro bimbo che credo fosse accolto in aiuto ormai alla fine della guerra. Foto fatta nell'estate del '45 circa. Vi erano poi altri due fratelli Tosatti di Valentino e Marino, che non compaiono nella foto .. Mario (ma credo che il nome di battesimo fosse Oliviero) e Rina .

Poi, al paese
c'era una grande Abbazia, con annesso Seminario e con tante reliquie
il presbiterio, le absidi, la
Cripta e che fosse stata Sede del Papato ma tra noi piccini eravamo veramente in
pochi a saperlo .
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L’unica cosa che si sapeva bene era La Partecipanza. Una forma comunitaria creata dai frati Benedettini nel medioevo. Sono, credo, tuttora 22 le famiglie che concorsero alla sua fondazione, fra cui Ansaloni, Borsari, Corradi, Piccinini, Reggiani, Serafini, Sighinolfi, Vaccari e Zoboli. (so che ora ci sono molte notizie sulla partecipanza nel web).
Durante la guerra e subito dopo, la mia famiglia aveva vissuto in condizioni precarie, in uno stato di ristrettezza estrema: in inverno la “stalla” era quasi tutto: due gabbie di conigli, due vitelli, un maiale e quattro mucche, salvate a stento dai tedeschi, davano il riscaldamento, il latte, il formaggio, la carne e fuori, sotto la neve, allora in abbondanza, spinaci, prezzemolo ed insalata, da vendere al mercato alla lontanissima Modena. Per fortuna avevamo il pane e vino, che mancavano città.
Qui sotto è riportata la mia casa al Campazzo alla fine degli anni '60, e sotto la stessa "ristrutturata" negli anni 2008 - 2010.
Il mio scritto ha lo scopo, oltre che di ricordare alcune mie vicissitudini, familiari e non, di illustrare alcuni aspetti di come si viveva, come si parlava, come si lavorava a quei tempi, con episodi veri, ora che ormai la maggior parte di chi li ha vissuti non è più, a umile ricordo di tempi che si spera che non ritornino mai più, ma che erano anche pieni di semplicità, di valori umani e di naturalezze che io ora rimpiango.
Da questo quadro, alla situazione attuale, dove ad ottant’anni, non scrivo più con il calamaio ed i pennini sul banco di scuola che mi hanno visto imparare l’A, B, C, e neanche con l’Olivetti Lettera 22, che conservo, ma con mouse e tastiera su Internet per raccontare quanto sia stata cocciuta la testardaggine e l’impegno per arrivare nel ’53 al diploma di perito meccanico (quando in Italia i diplomati e laureati erano giunti a poco più del 10%).
Dette oggi queste cose,
sembrerebbero avvenute nel medio evo; ma allora la mia voglia di studiare, dove
il significato vero era quello di affrancarsi da una miseria più vicina alla
schiavitù che alla vita anche modesta di altre classi lavoratrici, quali operai
e simili era praticamente impossibile, anche per il fatto che mio padre non
voleva assolutamente mettere a rischio l’unità della famiglia poiché nessun altro bambino, di noi sei in quel momento storico avrebbe potuto studiare.
A partire da queste modestissime radici, dalle difficoltà mie per poter studiare, dall’aiuto dello zio Dante per convincere papà e lo zio Marino a “superare” la mia quinta elementare, conclusa nel 1942 con l’impegno che al primo rinvio scolastico (ad Ottobre), lo studio per me sarebbe finito.
Nonostante tutto io ho potuto continuare, fino al diploma, sudatissimo, poi i tempi sono cambiati e per fortuna anche mio fratello ha potuto studiare. Mia sorella invece no, ella fu sacrificata per la mentalità di allora che colpiva il genere femminile e che i figli di contadini dovevano fare sempre e solo quel mestiere.
Ricordo anche il primo giorno di scuola è sempre un avvenimento, per un bambino, specie se nel contesto familiare gli “avvenimenti” sono molto rari. Il bel grembiulino nero con un grande bavero bianco da chiudere con bottone ed asola, che mamma premurosamente mi aveva preparato, una cartellina di cartone, contenente un quaderno, una matita e una gomma che papà aveva recuperato in casa. Non ce n’erano molte, in verità, nella nostra casa.
Mio padre poté studiare e così suo fratello Erio con risultati più che eccelsi essendo diventato uno stimatissimo fisico di fama internazionale. Erio che ora vive a Trieste ha sempre mantenuto vivi i suoi contatti con Nonantola e Modena fiero delle sue origini. Nel 1999 ha ricevuto il riconoscimento della Lamina Aurea di Redu'.
Nella mia vita da bambino al Campazzo ricordo le donne che finiti i lavori in casa ed in campagna alla sera erano nella stalla che filavano
la canapa e la tessevano per farne lenzuola, asciugamani. A volte allevavano i conigli
per comprare un po’ di sale, lo zucchero e l’olio, tutto ridotto a spiccioli, e
quasi nient’altro. Gli uomini fuori potavano le viti e le piante, raccoglievano
le verdure e nella stalla governavano gli animali, preparavano gli attrezzi per
la campagna, pulivano le verdure e facevano tutti gli altri lavori più pesanti.
La mattina prestissimo mio padre, con un grande carretto, tirato
da una somarella, presa in prestito dal vicino, portava le verdure al mercato a
Modena, distante quindici Km. dei quali il primo era una carreggiata pressoché
impraticabile, ed altri cinque di strada sterrata, più buche e fango che sassi,
mentre lo zio accudiva al bestiame e portava il latte al caseificio per il
formaggio grana.
In estate poi le fatiche si
moltiplicavano; dalla falciatura, essiccamento ed insilaggio del fieno alla
falciatura, messa in covoni e trebbiatura del grano alla protezione
della vite con acqua, calce e solfato di rame per salvare un po’ d’uva e di
pomodori, tutto fatto esclusivamente a mano, con fatiche bestiali e risultati
da minimo della sopravvivenza.
Mi piacerebbe riportare in seguito, una serie di episodi, riferimenti collaterali, personaggi e fatti, a volte con l’ausilio del nostro caro dialetto, ma con lo stesso stile e lo stesso scopo di illustrare fatti reali, momenti di vita vissuta, nella realtà di quegli anni, con le descrizioni dei soggetti, delle persone, degli usi e delle cose di allora, dei modi di dire, con il mio modestissimo modo di scriverlo, con l’obbiettivo forse troppo ambizioso di evidenziare nel modo più naturale e semplice possibile, anche se con grammatica e sintassi a volte imprecisa e complicata, la realtà della vita agreste di quei tempi ed i lontani ricordi dei protagonisti.
In parte Tonino ha già riportato diversi episodi della vita di allora in questo blog. Forse ne aveva in mente altri ancora.. qualcosa vado trovando nel suo computer .. anche molti dati afferenti a ricerche di parentele . Spero di poter in futuro aggiornare questo blog con altri dati...
Grazie per la lettura