martedì 13 novembre 2012

La mia esperienza lavorativa in Fornace (1953-54)

Dopo finita la scuola, nel Luglio 1953, si rese impellente la ricerca di un posto di lavoro. Avevo scritto a tantissime ditte, specie dell’Italia del Nord, sfoggiando i miei bei voti ed il diploma di Perito Meccanico, ma io non avevo “conoscenze” e quindi quasi tutte  mi risposero che mi avrebbero tenuto presente “in caso di necessità”, un modo garbato per dire di No. Ogni giorno che passava attendevo impaziente il passaggio del postino, ma i NO si accumulavano e le mie speranze si affievolivano.

     Un giorno, mio padre mi suggerì di rivolgermi alla Signora Claudina Bertani, un’anziana insegnante, amica di famiglia del nostro fattore del campo dove noi lavoravamo come mezzadri. Andai a trovarla, con un omaggio di prodotti di campagna e fu molto gentile, con il suo modo di fare forbito ed un tantino sdolcinato, che mi mise un po’ in soggezione, da modestissimo campagnolo e tutt’altro che raffinato qual’ero.

       Mi disse di andare il giorno dopo, il 03/11/53 presso una fornace che aveva bisogno di un “meccanico” per la manutenzione del macchinario. Si trovava vicino a Freto, a pochi km da Modena, 17 km da casa mia. Mi presentai il giorno dopo perché a quei tempi, come ora, non era il caso di fare gli schizzinosi, tanto per cominciare; era importante poter dire in seguito che non era più il primo lavoro, qualunque fosse.

       Un parente dei due fratelli padroni della Fornace, che tutti chiamavano Primo e che faceva le funzioni di dirigente (Fac totum) di tutto il movimento della fabbrica, dal programma di produzione, stoccaggio e collocamento del personale, mi accompagnò e mi consegnò al capo officina, il sig. Gino Ferrari, un anziano 
omaccione bonario sempre indaffaratissimo, ormai vicino alla pensione, che aveva eccellenti qualità di ideatore di complicati meccanismi di trasporto e taglio dell’impasto di argilla che usciva dall’estrusore, per la formazione dei (blocchi), un complesso equivalente a quattro mattoni, con due fori di circa 100 mm di diametro.

      Egli aveva una gran pratica nel risolvere immediatamente, con rappezzi e mezzi spiccioli tutti i problemi che capitavano. La sua abilità di cui menava vanto, era di ottenere gli stampi per i blocchi, col solo raschietto a mano, senza nessuna macchina, in modo che l’orientamento di uscita dall’estrusore del “maccherone” fosse lineare e non tendente a ruotare da qualche parte. Infatti è evidente che se il cono di uscita non è perfettamente liscio e conico e l’impasto omogeneo, la spinta sotto forte pressione fa deviare il prodotto.

      Il padrone gli aveva comperato un vecchio tornio, mastodontico ed antidiluviano che però non aveva mai imparato ad usare: quella tecnologia, di fine ottocento, gli era  assolutamente incomprensibile. Invece era bravissimo a costruire raccordi di nastri per fare deviare i blocchi, per rilevarne difetti e scartare i pezzi difettosi. Fui abbinato a lui specialmente per risolvere inconvenienti, del tipo degli ugelli per i bruciatori di cottura ed altri dove occorresse…un tornio. 

      In quel tempo la fabbrica si stava attrezzando per costruire una nuova linea di cottura completamente automatica acquistata da una ditta tedesca, che doveva sostituire l’esistente dove tutta la movimentazione e l’essiccamento dei blocchi di argilla avveniva manualmente, con fortissimo impiego di carrelli, di mano d’opera, di tempi lunghissimi di lavorazione.

       La messa a punto dei meccanismi, di controlli, di sequenze, ecc. procurava a volte lo scarrucolamento dei carrelli nel tratto dentro al forno dove i blocchi impilati, alla temperatura di cottura si ribaltavano ed inceppavano il tutto. Lo sgombro, appena possibile per il gran calore, coinvolgeva tutto il personale, io compreso, per ridurre al minimo il fermo del lavoro. Altre volte l’equipaggiamento dei nuovi ventilatori, in mezzo alla vermiculite dell’isolamento imponeva “sudate” bestiali.

       L’ambiente di lavoro, in fornace era molto deludente. L’elettricista Campioli, il “Dio della scossa”, ammiratore del ventennio, tentava inutilmente di attirarmi nella sua sfera di mentalità, mentre da più parti, per scherzo o per convinzione mi dicevano: hai studiato, eh, allora sgobba mò ora, più svelto, con la carriola !. Solo la Renata, una parente della mia futura moglie, mi guardava con rispetto, perché ……ero uno “che aveva studiato”.

      Per qualche tempo fui abbinato ai montatori tedeschi utilizzando quanto imparato a scuola, dove occorreva l’azione di più persone contemporaneamente. Altre volte dovetti smaltire le batterie rotte o usate dei carrelli trasportatori dei Palletts di blocchi, con gran disagio e pericolo per il recupero del piombo, in mezzo all’acido solforico.Tutto nell’insieme, fra le ore di viaggio in bicicletta, le molte ore straordinarie, i tipi di lavoro, per un totale di circa 16.000 £ al mese, non era certo la realizzazione dell’obiettivo per cui avevo voluto fortemente studiare !

      Pertanto, quando il mio insegnante di Meccanica, prof. E. Biolcati, il 03/05/1954, mi chiamò per una supplenza in sostituzione di un mio collega, Omero Cornia, dimissionario, per l’insegnamento di Disegno e Tecnologia in una scuola di Avviamento della F. Corni, distaccamento di Monfestino, aderii con entusiasmo. 
     
      Al padrone dissi che stando alle prospettive  che mi aspettavano in fornace, non potevo rinunciare a quella supplenza, che tale restava, senza certezza di proseguimento e che quindi al 15 di Giugno sarei potuto tornare lì, questi mi investì con una imprevista reazione dicendo che lui non era “lo zimbello degli operai”. Me ne andai lo stesso; alla fine dell’anno scolastico mi ripresentai di nuovo in fornace: l’accoglienza fu molto gradita e più che benevola.

       Il lavoro di quell’estate fu tremendo e caldissimo. 9-10 ore al giorno, spesso anche di sabato e metà domenica, lavori pesantissimi ed umilianti, intervallati da infortuni, incomprensione con la direzione ed i colleghi, ore di viaggio, mancanza di alternative, ad esclusione della promessa di un rientro nella scuola e di un concorso pressoché vinto nelle Ferrovie dello Stato, mi avevano molto prostrato e demoralizzato.

       Per questo, l’11/09/1954, con la conferma di poter continuare come insegnante nella scuola, lasciai definitivamente la Fornace, ma prima dell’inizio della scuola fui chiamato per andare nelle Ferrovie a Bologna. Tuttavia, anche da queste, dopo solo 11 giorni di presenza, decisi, con una difficile scelta, di lasciare per l'inattesa ammissioneo ad un Corso per Neodiplomati alla Edison di Milano.
 



6 commenti:

  1. E come per magia ho fatto un passo in più nella storia. Aspetto un altro post!
    Buona giornata

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    1. Ciao Mago di Oz. Sto raccogliendo i ricordi. Buon Anno Nuovo. Tonino

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    1. Grazie Nou, ti auguro un Felice Anno Nuovo a te e ai tuoi cari. Tonino

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  3. Caro Tonino, probabilmente sei in vacanza ed è anche giusto, visto il periodo...
    Comunque ti auguro un Bellissimo e Sereno Anno Nuobo.
    Buon 2013 a te e ai tuoi cari!
    Ciao,
    Lara

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  4. Grazie Lara, ti ringrazio per avermi pensato e contraccambio di cuore gli auguri di Buon Anno Nuovo a te e tutti i tuoi cari. Non sono andato in vacanza, ma il computer ha deciso di smettere di funzionare e così è passato un po' di tempo prima che riuscissi ad averne uno nuovo. Adesso devo prenderci un po' confidenza perché ero abituato a quell'altro e in questo compaiono nuove diavolerie !! Un grande abbraccio ed una speranza che l'anno in arrivo possa essere migliore possibile. Ciao Tonino

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