martedì 8 gennaio 2013

Amerio: le pannocchie ...vagabonde

Pannocchia
Riprendo il discorso dei ricordi familiari con lo scopo di associare momenti di vita vissuta nella realtà di quei tempi, con i modi di dire, il dialetto usato, le descrizioni degli usi e delle cose, per cercare di regalare un quadretto di usi e costumi di altri tempi.

Un ricordo lucido mi riporta a mio fratello Amerio ed ai suoi primi tentativi per imparare a leggere.

Un pomeriggio io ero seduto al tavolo della cucina, una lunga tavola per dieci persone, per studiare non ricordo quale materia, per l’interrogazione del giorno successivo. Non c’erano altre alternative, se non sul letto, nell’abbaino, dove io dormivo, che era però molto più scomodo. 

Noi donne
Eravamo, mi sembra verso l’autunno del 1949 e mio fratello era sdraiato per terra in cucina e stava sfogliando una rivista, “Noi Donne”, dove allora erano di moda i cineromanzi illustrati cosiddetti realisti che riproponevano con grandi e bellissime illustrazioni, temi di vita reale, delle donne, in campagna. 

Il vagabondo della foresta
In quella puntata il soggetto illustrato era intitolato “Il Vagabondo della Foresta” e mostrava una scena familiare: la scartocciatura delle pannocchie di mais nelle aie contadine. 

Preciserò, anche in termini dialettali, che la raccolta di questo vitale prodotto, che serviva poi per la polenta, per il mangime degli animali e per le sementi, si svolgeva nel seguente modo: le pannocchie (el panoci) venivano raccolte dal campo dai fusti secchi delle piante e messe in cassette o direttamente su di un carro o di un biroccio (la baroza) e riversati in mucchio al bordo dell’aia. 

L’aia veniva preparata con un'accurata spianatura e trattata con una sospensione in acqua di sterco di mucca, che seccandosi il fondo diventava impermeabile, difendendo, in questo caso il mais, ma anche a volte per il grano, i fagioli, ecc. dalla polvere e dagli insetti e permetteva un rapido essiccamento dei prodotti, prima dell’insacco. 

Alla sera, dopocena, le donne, ma anche i bambini e a volte anche gli uomini, del vicinato si radunavano a casa di uno dopo l’altro aiutandosi fra loro ed anche per la compagnia (fer a zerla), per togliere le pannocchie dalle foglie che le proteggevano (i scartoz) i quali servivano oltretutto per riempire i materassi dei letti, in mancanza di lana e preparando così il mais alla sgranatura, con una macchina apposita, per togliere i grani dai tutoli (i biroc), che normalmente dopo servivano per il riscaldamento invernale nei focolai delle cucine.  Questi incontri erano solitamente ravvivati da canti e bevute, con grandi rumorose risate e stornelli di sbeffeggio fra di loro (el zirudeli) ed erano molto apprezzati anche dai bambini, che una volta tanto non dovevano andare a letto subito. 

Quando avveniva questo fatto era l’età in cui mio fratello cominciava ad imparare l’alfabeto e quindi là sdraiato per terra, in cucina, stava cercando di leggere il titolo: v+a+g+a=...,ecc. 

Dopo un po’ che farfugliava, si alzò baldanzoso e mi disse: 
uh, vè, me al so cum as ciama al furminton in italian! 
(Ehi, guarda, io lo so come si chiama il mais in italiano) 

Non feci molto caso a quel discorso, ma lui insistette: 
Uh, tè, edmandem cuma as ciama al furminton in italian. 

(Ehi, tu, chiedimi come si chiama il mais in italiano). 

Alla terza volta che me lo richiese gli dissi: 
insama, dem mò, cuma als ciama ste furminton. 
(Insomma dimmi mò come si chiama questo granoturco). 

E lui, che aveva associato le figure al titolo, intendendo come foresta la campagna ed il soggetto come il prodotto, mi rispose trionfante: VAGABONDO!

Mio fratello era decisamente un ragazzino fantasioso e sicuro di sé.

Un’altra volta, avrà avuto otto o dieci anni, a metà estate, eravamo in fondo al campo, a Nord, dove il confine consisteva in un grande fosso, che in quella stagione si riempiva di rovi lussureggianti con splendide more nerissime che in vetta facevano bella mostra di sé, ma praticamente irraggiungibili anche a persone adulte. Amerio era lì ad ammirarle, ma non sapeva come fare per arrivarci. 

Capitai li e gli chiesi cosa stesse pensando e lui: 
ste min ve a tor un pogn a tin dag ona! 
(Se me ne vai a prendere una manciata, te ne do una!)

Da questi fatti di more e pannocchie Amerio, un animo gioviale, fortemente radicato alle origini, ai genitori, alla famiglia, passò successivamente ai voli pindarici fra le nanotecnologie, attraverso gli studi delle fibre ottiche e dei sincrotroni, nella.. ricerca .. dell’impossibile, come diceva nostro padre


8 commenti:

  1. Quanti fatti interessanti. Del granoturco o fromanton ho un ricordo più recente. Insomma recente è un eufemismo perché risale a quarantanni fa. Io e mio marito comprammo una piccolissima casetta (per le vacanze) con un po' di terra, vicino alla casa dei miei. Vi seminammo un po' di mais. Il terreno non era coltivato da qualche decennio e tutto ciò che veniva seminato cresceva rigoglioso e abbondante. Con l'aiuto di mio papà raccogliemmo le pannocchie, le panoce, e la sera le sgranavamo guardando la tivù. Abbiamo riempito due tinozze di zinco di grani, poi le abbiamo fatte macinare al molino che ancora c'era in paese. Il mugnaio ancora si ricorda del profumo antico di farina che eravamo stati in grado di riesumare dal passato.
    Da piccola ho avuto un materasso di foglie di panoce, el paiòn, che aveva due aperture superiori e centrali in cui si infilavano le mani per rimescolarle e ridare forma dopo aver dormito. Si usava durante l'estate.
    Molto bello l'aneddoto sul tuo amato fratello Amerio di cui hai ben motivo di essere orgoglioso. Credo che anche lui sia orgoglioso di te per come sei/siete stati capaci di distinguervi nella professione. Complimenti! Ho letto della Gabbiettatrice: quanto ingegno!
    Un caro saluto
    Nou

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  2. Ma che bello leggere anche questi ricchi commenti che descrivono gli usi e costumi di una volta. Grazie Nou, per il tuo intervento. Claudia

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  3. Sebbene io abbia "appena" 40 anni,ho fatto l'esperienza di dormire in un materasso di foglie di "pullanchelle" (come si chiam il mais dalle nostre parti, in dialetto palermitano)quando ero piccolo a casa di mio nonno!

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    1. :-) Non conoscevo il termine "pulanchelle".
      Mi sa che "scartoz o pulanchelle" era sempre uno scomodo dormire.

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  4. Ciao Nou, ho letto con grande interesse della tua battaglia contro la bilancia, nel tuo Blog. Brava, se riesci a mantenere i risultati fanno bene alla salute ed a tutto il resto. Da parte mia posso dire che per ora ho dovuto solo cambiare la poltrona della scrivania da quella a 4 rotelline con una a 5 perchè si rompevano sempre. Mi illudo che le 4 rotelline fossero difettose. Auguri Tonino

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  5. Grazie Tonino.
    Ho iniziato oggi la quarta settimana. E' difficile, ma voglio continuare. Difficile perché il tempo non è buono, è l'inverno!, e sono costretta in casa, perlopiù in cucina vicino alla stufa. Da un anno ho deciso di abitare in una casa di campagna dove non c'è l'impianto di riscaldamento. In questo periodo sento dei doloretti alle articolazioni e freddo, quest'ultimo dovuto anche alla diminuzione di cibo assunto. Ma devo resistere. I malesseri poi passano e io devo assolutamente dimagrire. Sto già pensando al mare della Croazia, Crès in particolare, dove so che si sta di un bene.. e si fanno dei bagni favolosi. Sono tre anni che non vedo una spiaggia e ne sento il bisogno, già la pregusto.
    Quella del peso è una lotta ciclopica.
    ...Ma piano, piano.
    Cari saluti
    Nou

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  6. Hai una gran forza di volontà!. Io una cosa così l'ho fatta solo per smettere di fumare, 40 e passa anni fa, dopo aver fumato per 20 anni e sono contento del risultato. Ma tu non fartene un problema così grande. L'importante sarebbe il riuscire a mantenere il risultato ottenuto. Augurissimi!. Tonino

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  7. Complimenti per il bellissimo post!

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